Da qualche tempo sto seguendo un corso di editing fotografico, per imparare a selezionare i miei scatti e creare una storia con le immagini. Come in tutti i corsi ci sono degli esercizi da fare e sarà il caso, ma ognuno di loro mi sta facendo rivivere qualcosa dei miei viaggi passati. Questa settimana dovevo scegliere 3 dittici, per un totale di sei foto, tra una selezione di circa 300 immagini di un viaggio in Africa. Mi è bastato dar loro un breve sguardo e la mia mente è stata subito catapultata nel lontano 2006, quando rimasi in Zambia per quasi 4 mesi.
Avevo vinto una borsa di studio che all’epoca si chiamava MAE-CRUI. Nel mio caso, mi ero candidata per un progetto da svolgere presso l’Ambasciata italiana a Lusaka. Ricordo ancora le parole di mia madre quando le dissi che ero stata accetta: “ Ma cosa ti abbiamo fatto di così brutto, da voler andare via fino in Africa?!”.

La mia necessità di conoscere il mondo non è mai stata compresa dalla mia famiglia. Per me quell’esperienza rappresentava l’opportunità di immergermi in una realtà che difficilmente avrei vissuto, se fossi stata lì per una breve vacanza e, nel contempo, era anche un’occasione per capire se la carriera diplomatica poteva rientra fra le opzioni da valutare per il mio futuro. Inutile dirvi che non lo era, altrimenti non sarei finita nel controllo di gestione, senza considerare il fatto che avevo e, tuttora ho, il vaffa facile 😅
“La mia necessità di conoscere il mondo non è mai stata compresa fino in fondo”
Pe raggiungere quello che all’epoca era il mio obiettivo, avevo fatto bene i miei calcoli: sapevo che per viaggi così lontani servivano soldi, soldi che né io né la mia famiglia avevamo. La fondazione copriva il costo del biglietto, io avevo lavorato qualche tempo prima di partire. Avevo scelto lo Zambia, perché il progetto mi sembrava interessante, in Europa sarei finita a fare fotocopie probabilmente.
Ho sempre pianificato i miei passi, innanzitutto perché non potevo permettermi di farli senza una copertura economica e poi perché puntavo a fare carriera, non tanto per lo status quo, ma per il semplice fatto che, per me, carriera significava “Soldi in abbondanza” e soprattutto adieu all’ansia di non arrivare a fine mese, un’ansia di cui sono stata involontariamente testimone sin dalla tenera età.
“ Ricordi di vita stile libro cuore” a parte, il rivedere quell’Africa mi ha riportato alla mente un numero infinito di episodi: dalla missione nei campi di rifugiati, all’attraversare guadi di fiume con l’acqua fino ai finestrini, al prendere bus sgangherati, a volte privi di fondo (si non scherzo, vedevo la strada passare sotto i miei piedi che erano appoggiati su dei tubi), o chiedere un passaggio e salire su un pick-up pieno di carbone, per rientrare a casa coperta di cenere. Viaggiare per due giorni in treno, attraversando il parco nazionale, per arrivare in Tanzania, soggiornare in una casa colonica, prendere il traghetto ed arrivare a Zanzibar. Gli incontri per strada, mentre rientravo a casa, gli occhi dei bambini, strafatti di colla che fumavano per non sentire la fame, le guardie che di notte cacciavano cavallette e le mettevano in vasetti di vetri, per poi mangiarle, i mercatini sul ciglio della strada, raccogliere gli avocado da alberi enormi, vedere gli animali correre liberi nella savana.
Ripenso a quei momenti e capisco quanto sia grande il poter di cambiamento che il viaggio porta con se. Ringrazio in ogni istante la mia cocciutaggine nel voler vedere il mondo, nonostante lo scetticismo e la disapprovazione che mi circondava. Perché senza i miei viaggi non avrei mai potuto superare le mie credenze limitanti , evolvere in meglio, credere in me e nelle mie potenzialità, insomma non sarei mai e poi mai potuta diventare la persona che sono ora.

“L’unica regola del viaggio è non tornare come sei partito. Torna diverso”. (Anne Carson)