Non male, vero, la vista dall’alto della Heart Reef?
Se non avessi trovato il coraggio di partire da sola, quella vista sarebbe rimasta un sogno. E invece, a 39 anni, mi trovavo là, su un elicottero che sorvolava una delle barriere coralline più famose del mondo. Come ci sono arrivata? Beh, tutto è iniziato con una disfatta lavorativa.
Quando la sfiga ci vede benissimo
Rientrata dall’estero per motivi personali, avevo rinunciato a un lavoro ben pagato in Svizzera. Sulla carta, avevo fatto la scelta giusta: mi avevano promesso mari e monti, una carriera brillante, il sogno di ogni lavoratore. Ma, piccolo dettaglio, non avevo calcolato i tagli aziendali decisi dalla casa madre. Risultato? Mansione soppressa, sono stata accompagnata gentilmente alla porta e… addio lavoro!
Simpatici, vero? Non riuscivo a credere a ciò che mi era successo. Per una come me, che si era sempre identificata con il proprio lavoro, è stato uno schiaffo morale. Insomma, diciamocelo: non avevo capito un emerito BIP della vita, e l’universo, con i suoi modi bruschi, si era incaricato di farmi recepire la lezione.
Il loop infinito dei colloqui
Dalle 10-12 ore in ufficio, ero passata al nulla cosmico. L’unica cosa che mi teneva a galla era il nuoto. Tra un bracciata e l’altra, mi ritrovavo a fare colloqui surreali: recruiter che sparivano nel nulla, altri che mi facevano domande imbarazzanti (“Hai detto che sei disposta a trasferirti, ma per caso hai figli in zona?”), contratti di sostituzione maternità spacciati per futuri contratti indeterminati (ovviamente non lo erano).
Ormai conoscevo il mercato del lavoro come le mie tasche: gli annunci, i copioni dei colloqui, e persino i nomi delle aziende che cercavano personale ogni tre-sei mesi. (N.B. Se cercano sempre le stesse posizioni così spesso, un motivo ci sarà… attenti!).
Quando si tocca il fondo…
Era gennaio 2019, un inverno gelido.
Rientravo dall’ultimo giorno di un contratto a termine, in auto, con gli occhi pieni di lacrime. Mi sentivo svuotata, senza un ruolo, senza prospettive.
Mentre guardavo la strada, una vocina dentro di me ha preso a farsi sentire: “No, Elena, così non va. Non puoi passare l’inverno a deprimerti.” Il mercato del lavoro era fermo, lo sapevo, e non ero pronta per affrontare di nuovo quei colloqui, più test di sopravvivenza psicologica che selezioni reali. O ancora i colloqui fuffa, quelli fatti solo per raccogliere curriculum.
Il pensiero di ricominciare mi pesava come un macigno, ma capivo che se non avessi fatto qualcosa, sarei rimasta ferma, e mi sarei persa.
Quella sera, parlando con il mio compagno, ho capito che non era solo stanchezza: era arrivato il momento di cambiare rotta. Non volevo più restare nell’attesa logorante, sperando che qualcosa si sbloccasse. “Voglio andare in Australia”, ho detto. Non era una fuga, ma l’unico modo per riprendere fiato e ritrovare me stessa.
Venerdì sera il dado era tratto. Il sabato avevo già in mano la Lonely Planet. Il lunedì, il biglietto. Un mese dopo, ero su un volo verso un sogno.
“Koufonissi chiama Australia: Australia, ci sei?”
Se mi avessero detto che un’isola greca di 8 km² avrebbe cambiato il mio modo di affrontare la vita, non ci avrei creduto. Eppure, l’estate prima, a Koufonissi, avevo scoperto quanto fosse bello viaggiare da sola. Solo io, i miei pensieri e la voglia di esplorare.
Quell’esperienza mi ha dato il coraggio di affrontare qualcosa di molto più grande. Certo, avrei preferito partire con il mio compagno o un’amica, ma a volte, se vuoi davvero qualcosa, devi farlo da sola!
Mio padre, da piccola, mi diceva sempre: “Quando l’acqua ti arriva al sedere, impari a nuotare.” Lui, letteralmente, un giorno cadde in un fiume mentre lavorava e riuscì a raggiungere la riva da solo. Io, invece, ho imparato a “nuotare” riempiendo uno zaino e prendendo un volo verso l’altra parte del mondo.
Un viaggio rivelatore
Mentre sorvolavo quell’oceano turchese, ammirando una barriera corallina a forma di cuore, mi sono resa conto di quanto, prima, fosse tutto così inverosimile. Lavoravo un numero indefinito di ore al giorno, vivevo per la carriera, mi identificavo con un titolo lavorativo. Ma a che pro? Per essere buttata fuori senza un grazie?
Quel viaggio mi ha insegnato una grande lezione: non si vive per lavorare, ma si vive per fare ciò che ci rende felici. Per me, viaggiare è una di quelle cose.
Per la prima volta ho dormito in un ostello (chiedevo camerate femminili, ma finivo sempre circondata da uomini), ho nuotato con le mante reali e gli squali balena, ho rincorso una tartaruga marina e mi sono ritrovata faccia a faccia con uno squalo (amichevole, per fortuna). Ho dormito in tenda, ascoltando i dingo ululare, mi sono calata da una montagna con la corda, ho incontrato gli aborigeni, visitato Uluru all’alba e l’ho visto tingersi di rosso fuoco al tramonto, in groppa a un cammello.
Tutto questo è partito da me, dalla mia decisione, dal desiderio di trasformare un momento di sconforto in un’opportunità.
L’Australia è stata il mio booster di autostima: mi ha mostrato che potevo affrontare e superare situazioni nuove e lontane dalla mia realtà. Mi ha insegnato che, quando le cose non sembrano andare per il verso giusto, dobbiamo sforzarci di vederle da un’altra prospettiva. Dietro ogni imprevisto si nasconde sempre un’opportunità.
Se ce l’ho fatta io…
Andare dall’altra parte del mondo può sembrare una follia. Ma io sono la prova che è possibile. Se hai mai pensato di partire da solo ma i dubbi ti frenano, ricorda: le circostanze perfette non esistono! A volte, devi solo fare il primo passo. E vedere dove ti porta.
Raccontami la tua storia nei commenti… o scrivimi se hai bisogno di un piccolo incoraggiamento. Magari, con una chiacchierata, ti convinco a prendere quel biglietto. 😉