Come tutto è iniziato
Fin da piccola, ho sempre desiderato vedere il mondo. Forse perché ascoltavo i rari racconti di mio padre, che lavorava all’estero per guadagnare e costruire casa. Con uno dei suoi fratelli (erano nove!), si alternava tra l’Italia e l’estero. Mio zio lavorava in Africa, mentre lui girava tra Europa e Nuova Zelanda, facendo lavori come la costruzione di tunnel, cucinando e, in Svizzera, persino facendo il becchino.
Ripensandoci, l’idea che all’estero si potesse guadagnare di più mi è stata trasmessa inconsapevolmente da piccola. A casa non si nascondeva la difficoltà economica, e io, con la mia testolina, ho subito pensato: “Studiare e poi lavorare fuori”. Non che la mia famiglia fosse troppo entusiasta di questa idea, ma ci ho provato comunque. Vi risparmio le “perle di saggezza” di mio padre, che amava dirmi: “Io a 21 anni avevo già costruito la casa, tu invece stai ancora studiando” 😅.
Tuttavia, tra il mio DNA da migrante e la voglia di crescere, mi sono decisa a partire. Naturalmente, con gli strumenti che avevo a disposizione all’epoca. Se fossi nata nell’era di Internet, sarebbe stato tutto più facile… ma mi sono arrangiata.
Il viaggio come antidoto alle filippiche mentali
Andarmene dall’Italia è stato l’unico modo per lavorare su me stessa e sulla mia autostima. Ho sempre avuto un carattere un po’ temerario (ma c’era una ragione dietro!).
Sono partita da “Quando sei nata eri brutta e tutta rossa! Tuo fratello invece aveva la pelle chiara come una pesca”, passando per “Guarda la tua amica che è bella, lei sorride sempre, tu sei sempre una musona”, fino a “Ma cosa ti abbiamo fatto di male per voler andare in Africa?!”. E per non parlare di “Ma vai via da sola???”. I “mai una gioia” erano all’ordine del giorno!
E perdonata lo sfogo, ma… grazie al cavol…fiore, che ero brutta e tutta rossa! Sono nata con il cordone ombelicale attorno al collo, scusate se dovevo già lottare per sopravvivere prima ancora di uscire. Con questo inizio, potete immaginare come è andato il resto.
Un giudizio dietro l’altro, una lotta continua, aspettative disattese. E così è nata la mia risposta facile e la mia allergia alle gerarchie imposte senza rispetto. Cosa che tuttora non tollero.
Il senso di inadeguatezza e l’ancora di salvezza oltre i confini
Sono cresciuta con la convinzione di essere sbagliata: mai abbastanza brava, mai abbastanza bella, mai abbastanza magra. Quando avevo una taglia 42, mi sentivo grassa!
Tuttavia, questo senso di inadeguatezza spariva appena mi allontanavo dalla mia famiglia. Il mondo con cui mi scontravo ogni giorno sembrava dissolversi, ed io finalmente sorridevo. Iniziai a comprendere il mio valore, abbattendo credenze limitanti che non sarebbero mai cadute restando dov’ero.
Obiettivo: crescita personale e professionale
Così, ho cominciato a sfruttare ogni occasione per vivere fuori casa. Ho scelto un corso universitario che includesse un tirocinio all’estero (ovviamente un indirizzo approvato dalla famiglia), una laurea triennale vicino a casa per fare la pendolare. Un enorme successo, considerando che nonostante i bei voti, i miei genitori avrebbero preferito che andassi a lavorare (per la solita storia).
In viaggio nessuno mi giudicava, nessuno mi faceva sentire sbagliata. Incontravo
persone che vibravano alla mia stessa frequenza.
Ma ce l’ho fatta: sei mesi di Erasmus e di pulizie in hotel. Poi, con un po’ di stratagemmi, ho convinto i miei genitori a farmi continuare con la specialistica. Dopo la laurea, sono andata in Zambia e poi in Portogallo per un tirocinio. Più mi allontanavo da casa, più riuscivo a costruire quelle sicurezze e quella fiducia che avrebbero dovuto trasmettermi da bambina. E lì ho capito: viaggiare era la mia libertà. Nessuno mi giudicava, nessuno mi faceva sentire sbagliata. Incontravo persone che vibravano sulla mia stessa lunghezza d’onda. Il mio piano d’azione era riuscire a garantirsi almeno un viaggio rigenerante ogni anno. All’epoca, le isole greche erano ancora accessibili e così ho cominciato a esplorarle, cambiando isola ogni anno, fino a non saper più quale scegliere. Sognavo di trovarci una casetta per la vecchiaia… finché…
La svolta forzata
Se l’Universo non mi avesse dato una scossa, probabilmente sarei ancora “ferma” allle isole greche. Ma poi è arrivata la batosta: ho perso il lavoro. E le carte si sono improvvisamente ribaltate.
È successo proprio quando avevo deciso di rinunciare alla carriera per fare ciò che ci si aspetta da una donna di trent’anni con un compagno. Risultato? Niente carriera, niente famiglia. Ma ho imparato a viaggiare in solitaria.
All’inizio mi bloccava l’idea di spendere soldi senza un lavoro. Poi ho capito che era l’unico modo per salvarmi. Ho iniziato con Koufonissi, un’isola che si gira in tre ore a piedi, spiagge caraibiche, sentieri rocciosi e una barchetta per gli spostamenti. Una libertà che mi ha cambiato.
La consapevolezza di dover fare qualcosa
Pochi giorni da sola e ho capito: ce la potevo fare. Viaggiare mi ha mostrato che la vita che conoscevo non era davvero vita.
Vivevo per il lavoro, convinta che impegnandomi sarei stata premiata. Ma non è andata così. Ero vista come quella con il “caratterino”. E se fossi stata un uomo, quel carattere sarebbe stato visto come un valore. Essere lì da sola, in un luogo sconosciuto, impegnarmi fisicamente e mentalmente in un cammino ascoltando i miei pensieri e le mie paure. Questo è quello che ha rappresentato quel mini viaggio in solitaria. Ha fornito una chiave di lettura diversa della mia vita, di ciò che ero e di quello che volevo diventare, mi ha permesso di non temere la solitudine e di farne una mia fedele alleata.
Stufa delle promesse vuote, ho cambiato prospettiva. Ho cominciato a godermi il tempo. Quando ho capito che avrei dovuto aspettare mesi per un nuovo contratto, ho preso la palla al balzo: direzione Australia.
Al ritorno, ho trovato un nuovo lavoro, stavolta indeterminato. E sapete com’è finita? Weekend e sere passate al pc, stress, problemi di salute… e zero riconoscimenti. A quel punto, ho fatto qualcosa che per me, orgogliosa quale sono, era impensabile: ho chiesto un aiuto ad un professionista, un terapeuta. Grazie all’EMDR, ho iniziato a lavorare sui miei traumi, che come avrete ben capito non erano pochi, ed essendo ben radicati nella mia infanzia, ci ho dovuto lavorare un bel po’ e lo faccio tuttora, ma con un’ottica volta al mio rafforzamento e, posso solo dire: “sia lodato chi ha inventato questa tecnica”.
Viaggia. Fidati.
Oggi so che viaggiare mi ha salvata. Se sei in dubbio se partire o meno… fallo. Fidati.
Non aspettare il momento giusto, il permesso di qualcuno, la sicurezza perfetta.
Il viaggio più importante è quello verso te stesso. E il biglietto? Compralo senza pensarci troppo. ✈️